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Cronaca

Malata e sola, anziana tenta il suicidio

Inserito da (admin), giovedì 9 giugno 2005 00:00:00

Era stata sfrattata dopo 36 anni dal suo appartamento in via Sala. Costretta in un monolocale umido, senza corrente elettrica, dove a fatica riesce a trovare spazio per un letto su cui sdraiarsi, ha tentato di farla finita lanciandosi dalle scale di quella che da appena 6 giorni è la sua nuova casa. Un gesto di disperazione che si trasforma in un accorato appello. Un grido di aiuto che non lesina accuse a chi sapeva e non ha fatto nulla. «I miei parenti mi hanno lasciato sola. Il Comune ed i Servizi sociali, pur interpellati, fanno finta di non sapere niente della mia situazione. Credevo che il sindaco mi potesse aiutare. Gli ho parlato di persona ed invece, a quanto pare, nelle funzioni del primo cittadino non rientra la tutela degli indigenti». Rosa Bisogno si è trovata in strada da un giorno all'altro, a 64 anni, invalida all'80%, con un cuore malandato ed una grave forma di artrosi, senza nessuno che possa prendersi cura di lei, ad eccezione del figlio. "Pupetta", come la conoscono in città i suoi allievi, a cui ha impartito lezioni private di italiano e storia, è disperata. Molti anni fa la sua era una vita normale. Una famiglia agiata alle spalle, una dote ed un'ottima istruzione, che le aveva garantito quello che, una volta, veniva chiamato un buon partito. Poi i guai giudiziari del marito, il divorzio e la morte dell'unica figlia femmina. Da quel momento la situazione è diventata insostenibile. Poco a poco Rosa ha perso le sue cose, portate via dall'ufficiale giudiziario. Poi anche la casa. «Due anni fa ho avuto lo sfratto. Il mio avvocato mi aveva assicurato di stare tranquilla, visto che le nuove leggi mi avrebbero garantito ancora un paio di anni». Pupetta non nasconde che i suoi parenti, malgrado benestanti, si sono disinteressati di lei. Così si è ritrovata a vivere sola, con una pensione di invalidità di 244 euro, un figlio disoccupato e senza un tetto. Da 6 giorni ha trovata la nuova sistemazione in un monolocale in via Casa Brenda, a Passiano. «Mi hanno voltato tutti le spalle. Mi ha ospitato nel suo soppalco una signora siciliana che vive a Cava, per non farmi dormire in macchina. Per 21 giorni ho mangiato alla mensa dei poveri, ma quando fra' Gigino mi ha riconosciuto mi ha chiesto come mai nessuno mi avesse aiutato. Mi sono vergognata. Ho parlato di persona con il sindaco, ma non è valso a nulla. I responsabili dei Servizi sociali dicono di non conoscere la mia situazione. Secondo loro, non rientro tra coloro che hanno diritto all'assegnazione di una casa». Le sue condizioni di salute sono precarie. Nel nuovo appartamento vive intrappolata tra scatoloni. Non c'è spazio per stendere la biancheria e finanche la spazzatura trova posto in uno degli scatoloni sistemati all'ingresso. «Dicono che sono pazza, ma non è assolutamente vero. La mia disperazione è il frutto di quello che ho vissuto e, soprattutto, dell'incuranza delle persone». L'anziana rivolge un appello ai Servizi sociali ed al sindaco: «Non riesco a trattenere le lacrime. Mi sento intrappolata in questa casa, da cui non posso neppure uscire per via dell'artrosi alle gambe, che mi impedisce di salire la rampa delle scale. I Servizi sociali del Comune devono fare qualcosa. Ora come ora, vivo a braccetto con la morte».
«Sono già morta una volta»: 6 anni fa Pupetta ha perso la figlia
«Dicono che qualcuno abbia 7 vite, ma che si debba morire solo una volta. Non è vero. Io sono già morta una volta, quando mio figlio mi ha detto che per la mia Anna non c'era più nulla da fare». 6 anni fa il dolore più grande per Pupetta: la morte prematura della figlia Anna, stroncata a 26 anni da un male incurabile. «Era una ragazza solare. Il suo sorriso era contagioso. Anche chi non la conosceva si ricorda di lei quando portava a spasso i suoi cani». Da quel giorno Pupetta non si è più ripresa: «Ricordo come se fosse oggi quegli attimi terrificanti. In preda alla disperazione, cercavo di procurarmi del dolore fisico, quasi una forma di difesa nei confronti di quella sofferenza senza fine. Fu così che mi ferii con le unghie il cuoio capelluto. Da allora quelle ferite si sono somatizzate. Le cure specifiche richiederebbero troppo denaro. Ho dovuto smettere la terapia dermatologica, per questo sono costretta a radermi il capo e coprirlo con foulard o fasce elastiche». Il dolore ha peggiorato le condizioni del suo cuore, già minato da un infarto. «Per due mesi dopo la sua morte - dice Pupetta - sono rimasta a letto. Mi rifiutavo di vivere. Avevo rinunciato ad alzarmi dal letto, anche solo per mangiare o lavarmi». Due foto di Anna sono gli unici "abbellimenti" che la donna si è concessa, tra l'ammasso di scatole ed imballaggi che riempiono ogni angolo dell'angusto appartamento di Casa Brenda.

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