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Cronaca

La tragedia di Luciano Matonti

Inserito da Il Mattino (admin), mercoledì 5 settembre 2001 00:00:00

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A cinque giorni dalla sua morte, non c'è pace per la giovane moglie, gli amici ed i familiari di Luciano Matonti (nella foto in alto), il geometra colpito da leptospirosi nei giorni scorsi e morto dopo un lungo calvario tra gli ospedali di Salerno e Napoli lo scorso venerdì. Barricati dietro un impenetrabile muro di silenzio, la moglie ed i familiari dividono ancora ore di angoscia, forse rincorrendo un interrogativo al quale difficilmente troveranno una risposta. Non vogliono parlare con nessuno, ma è facile intuire il dramma che si sta consumando in quell'appartamento in pieno centro a Nocera Superiore, che da poco più di un anno era la loro nuova casa. Dopo l'inspiegabile lunga malattia del loro caro Luciano e la morte tragica quanto inaspettata, probabilmente tutti ancora si chiedono come abbia potuto contrarre quella terribile infezione che lo ha trascinato alla morte, nel reparto di malattie infettive dell'ospedale Cotugno di Napoli, dove, da ultimo, Luciano Matonti era approdato nella speranza di trovare una cura. Castel San Giorgio, Nocera Superiore e Cava de'Tirreni: tre le città che si interrogano sull'assurdità della morte di un uomo, avvenuta, ormai senza alcun dubbio, a causa della terribile infezione contratta al contatto con escrementi di topo. Leptospirosi: un nome terribile quanto l'agonia di Matonti, durata circa una settimana, il tempo necessario alla malattia di distruggergli un rene e di trascinarlo in uno stato precomatoso che lo avrebbe di lì a poco condotto alla morte. Ha dell'assurdo, ma è proprio quello che, la scorsa settimana, è accaduto a Luciano Matonti, noto e stimato geometra, originario di Cava de' Tirreni, ma residente da qualche tempo al civico 18 di viale Croce a Nocera Superiore. Matonti aveva appena 40 anni. Si era specializzato nel campo della metalmeccanica ed era nome autorevole nel suo settore. Sposato e padre di due bambini, lavorava da 18 anni per una nota impresa di Castel San Giorgio, di cui è titolare l'ingegner Bernardo Civale. Proprio dalle parole del suo datore di lavoro e di quanti, giorno per giorno, stavano al suo fianco, emerge il ritratto di un uomo gioviale, sempre pronto a dare una mano, una parola di incoraggiamento a chiunque. A Trivio di Castel San Giorgio, dove si trova l'azienda in cui Luciano Matonti lavorava, erano in tantissimi a conoscerlo ed a stimarlo. «Tutta la città stenta a credere che a Luciano sia toccata una sorte simile - dice il geometra Guglielmo Fasolino, amico di Ma tonti - Era un uomo estremamente vitale, vivace, sempre sorridente, molto legato alla famiglia e bravissimo nel suo lavoro. Non è retorico dire che ha lasciato un grande vuoto. Nessuno potrà mai dimenticarlo». E', dunque, soprattutto nell'ambiente di lavoro che Matonti era ben conosciuto e, soprattutto, stimato da chiunque entrasse in contatto con lui. Colonna portante della società per cui lavorava da ben 18 anni, aveva lasciato la sua adorata Cava de' Tirreni proprio per cercare casa il più vicino possibile al luogo di lavoro.

Il datore di lavoro: «Per me come un figlio»

È apparso sinceramente affranto, al telefono, l'ingegner Bernardo Civale, titolare della «Civale ingegner Bernardo e company», una rinomata impresa metalmeccanica cavese, la cui azienda è situata a Trivio di Castel San Giorgio. Era lì che Luciano Matonti, il geometra cavese ucciso dalla leptospirosi lo scorso venerdì, lavorava da ben 18 anni. Nel giro di qualche anno Matonti era assurto a ruoli di grande importanza nell'ambito lavorativo, grazie soprattutto alle sue doti ed alla sua straordinaria personalità. Risponde a malavoglia alle domande circa quell'uomo che per lui, negli anni, era diventato come un figlio. «Ancora non ci posso credere - dice l'ing. Civale - Nessuno vuole credere che sia potuta accadere una cosa simile. La notizia della morte di Luciano ci ha colti di sorpresa e ci ha distrutti. Credo che non ci renderemo mai abbastanza conto di averlo perso. Era diventato la colonna portante di tutta l'azienda. Ha sempre lavorato sodo, fianco a fianco con mio figlio Giuseppe (nella foto in basso) e per me era come un figlio pure lui. Aveva perso suo padre quando era poco più di un bambino ed io ero un po' il suo punto di riferimento. Aveva un ruolo di grande importanza nell'azienda: tutto ruotava intorno a lui. Nel suo lavoro era eccellente e nella vita un uomo irreprensibile». Non sa come continuare l'ingegner Civale. Non trova, forse, le parole per raccontare la storia di un uomo tanto brillante, portato via nel fiore degli anni da una malattia assurda.

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