Tu sei qui: CronacaClan Bisogno, la parola ai poliziotti
Inserito da Il Mattino (admin), giovedì 9 maggio 2002 00:00:00
Per mesi avevano cercato di incastrarli, raccogliendo filmati e testimonianze in vista della prova schiacciante, arrivata con la denuncia di Gerardo Pisapia, l'imprenditore antiracket pronto a fare da esca per inchiodare i suoi presunti taglieggiatori. Domani mattina i poliziotti che presero parte all'operazione "Game Over", che culminò il 17 novembre del 2000 con l'arresto dei presunti autori del pizzo ai commercianti metelliani, saranno ascoltati dal pm Domenica Gambardella, titolare dell'inchiesta. Un faccia a faccia, dunque, con i tre imputati coinvolti nel processo per estorsioni: Vincenzo D'Elia (assistito dal legale Rodolfo Viserta), Guerino Lambiase (difeso dagli avvocati Marco Salerno e Maurizio Mastrogiovanni) e Pierangelo Pezzella (difeso dall'avvocato Giovanni Annunziata). Gli investigatori cavesi saranno sentiti come testi per i necessari chiarimenti legati alle identità dei tre uomini, all'epoca dei fatti indicati come esponenti del clan Bisogno. Ma si cercheranno delle spiegazioni anche sulle procedure ed i punti nevralgici della lunga indagine, come la collaborazione con l'imprenditore Pisapia. Verranno, così, rilette le relazioni di servizio, i verbali, la documentazione richiesta dalla Procura al Commissariato di Cava, poi raccolta nel voluminoso fascicolo del processo. Dopo le precedenti sedute dibattimentali, con l'audizione ed il controinterrogatorio del teste chiave, l'imprenditore Gerardo Pisapia, ora si aspettano le prossime udienze, quando compariranno ben tredici testimoni, che, secondo il collegio difensivo, dovrebbero scardinare l'impianto accusatorio. Tra le prove da confutare, l'incendio ad un camion di proprietà di Pisapia: l'episodio compare negli atti del processo con una regolare denuncia depositata dal pm Gambardella. Si tratterebbe, però, di un procedimento già archiviato, proprio perché contro ignoti e per la mancanza di prove che confermerebbero l'ipotesi di un attentato incendiario. A causare l'incendio, a detta della difesa, sarebbe stato un banale cortocircuito. Inoltre, per gli avvocati difensori la somma riscossa in occasione dell'arresto sarebbe stato il pagamento di un credito per l'acquisto di un cabina, operazione in cui Vincenzo D'Elia avrebbe assunto il ruolo di intermediario.
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