Tu sei qui: CronacaAlla sbarra cinque baby ultrà
Inserito da (admin), lunedì 26 gennaio 2004 00:00:00
Rinviato al 23 marzo l'inizio del processo, presso la Sezione Distaccata di Cava del Tribunale di Salerno, per i 30 ultrà aquilotti coinvolti negli scontri successivi alla gara Delianuova-Cavese del 3 novembre del 2002. Fissato al 30 gennaio, intanto, l'avvio del procedimento a carico del gruppo di minorenni rinviati a giudizio. I 5 baby tifosi - di età compresa tra i 14 ed i 17 anni, difesi dagli avvocati Marco ed Alfonso Senatore - dovranno raggiungere il capoluogo calabro per difendersi dalle accuse di lesione e resistenza a pubblico ufficiale, violenza negli stadi e danneggiamento. In aula ci saranno anche gli ultrà calabresi fermati dalle Forze dell'Ordine locali. Si attende, così, un'aspra battaglia giudiziaria, visto che nel corso delle indagini le ricostruzioni fornite dagli agenti del Commissariato di Cava che seguirono la trasferta dei tifosi aquilotti e quelle dei Carabinieri di Palmi non collimano. Da una parte la versione della Questura di Salerno sulla base della testimonianza dei tre poliziotti metelliani, dall'altra la ricostruzione dei dirigenti della Questura di Reggio Calabria. Nei fascicoli prodotti dai militari calabresi si parlerebbe addirittura di un presunto tentativo di sequestro di persona messo in opera dagli ultrà della Cavese. Stando ai verbali dei Carabinieri, i tifosi, braccati dalla gente del posto, si sarebbero introdotti in un'abitazione privata, prendendo in ostaggio un'intera famiglia. Una versione completamente sconfessata dagli agenti cavesi e dai dirigenti aquilotti. Ma cosa scatenò quel pomeriggio di follia? Gli ultrà della Cavese decidono di non pagare il biglietto d'ingresso di 10 euro. È fuori dallo stadio, davanti ai botteghini, che scoppia la prima rissa. Dopo la fine della gara, dall'unica tribuna dello stadio escono i tifosi locali, armati di spranghe e pietre: armi entrate regolarmente all'interno dello stadio. I tafferugli che seguono coinvolgono l'intero Paese. Inizia la caccia al tifoso della Cavese. Dai balconi vola di tutto. La Polizia spara alcuni colpi di pistola in aria. La volante viene distrutta: contusi due agenti, feriti 15 tifosi della Cavese. Più di 30 ultrà richiedono le cure dell'ospedale di Gioia Tauro. Uno dei sostenitori metelliani è costretto a gettarsi da un ponte, procurandosi la frattura degli arti inferiori. Altri tentano di mettersi in salvo in un'ambulanza della Croce Rossa. Nei mesi scorsi, poi, si è registrata la clamorosa sentenza della Corte di Cassazione, che ha annullato senza rinvio il provvedimento di diffida dal campo ed obbligo della firma, convalidato nel febbraio scorso dal Gip Di Matteo su richiesta del prefetto, per uno dei tifosi della Cavese coinvolto negli incidenti del dopo partita. Si tratta di Pierpaolo Chiafalà, 28 anni, giunto in Calabria con la sua auto insieme ad un gruppo di amici. Nel corso dei violenti incidenti Chiafalà fu fermato dalla Polizia e poi denunciato per violenza negli stadi. I suoi avvocati, i fratelli Marco ed Alfonso Senatore, hanno presentato ricorso in Cassazione contro il provvedimento di diffida per mancanza di presupposti e di motivazioni valide da giustificare la misura cautelare. Il ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione.
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