Tu sei qui: PoliticaLo stratega del linguaggio ora parla col cuore
Inserito da (admin), martedì 10 ottobre 2006 00:00:00
S'è trasformato Gravagnuolo. All'inizio del campionato, con la Cavese in trasferta a Taranto, aveva indossato la maglietta coi colori sociali sulla camicia stirata di fresco, facendo la sua inusitata apparizione tra gli ultrà. Ed ieri è tornato in piazza, a Piazza Duomo, reduce da una serie di assemblee infuocate nei rioni della città in cui chiedeva fiducia ai cittadini. E se a quelli di Croce e San Pietro, che gli chiedevano di non aprire siti di stoccaggio sotto le loro finestre, dava ampie rassicurazioni, spiegando sul tavolo la carta intestata del Comune con su scritto «Mi dimetto se non rispetto l'impegno», ieri, sotto il sagrato del Duomo di Cava, ha gridato coi ragazzi da un megafono: «Statemi vicini, non perdiamoci di vista, con voi sono più forte».
Il passo felpato, la stretta di mano discreta, il sussurro con una lieve erre nobilmente arrotata, hanno lasciato il passo all'oratore di piazza, non populista, ma sicuramente popolare. Da uomo-macchina e consigliere ombra (o, se si vuole, grand-commis) degli amministratori locali, a front-man. Un percorso costruito negli anni dell'insegnamento. Una strada che l'ha visto affinarsi, fino a diventare docente della classe più difficile da ammaestrare, quella dei giornalisti, a cui insegnava la retorica e la semiotica. Ed ancora a quei codici comunicativi oggi fa riferimento, quando tenta di spiegare il perché di questa sua trasformazione. «Porto sempre la grisaglia - dice - ma non dimentico che ho portato l'eskimo». Ed i suoi collaboratori, nella penombra che anche a mezzogiorno grava nell'ufficio del Municipio che una volta era un teatro, ricordano quando Gigino scendeva in piazza con il pugno alzato, davanti ai cortei.
Lui ammette: «Sono un sessantottino, nel bene e nel male». E poi aggiunge che questa sua discesa in campo non è di oggi, risale alla sua decisione di fare la battaglia per le comunali, ma è guidata da un progetto fatto di cuore e sentimento, ma anche di armi retoriche («Mica mi sono dimesso davvero nell'ora dell'emergenza-rifiuti! Era un passaggio retorico, quello»). Ora siamo all'abiura dell'applicazione studiatissima dei codici comunicativi, che lo avevano fatto tenere ben stretto da uomini come Giovanni Moscatiello, che ne aveva fatto il city manager di Baronissi (stiracchiando i residenti pur di conquistare il diritto a quel posto nel suo organico), e poi Mario De Biase, cioè Vincenzo De Luca, che per 5 anni l'ha messo nella stanza a fianco alla sua, al secondo piano del Palazzo di Città.
«Ora per me non decido a tavolino il tono ed il registro della comunicazione», mette le mani avanti. Insomma, non ha voluto studiare la scena dell'uomo-immagine di Cava che si mette in piazza davanti a tutti per difendere l'istituzione. «Altro che scontri epocali De Luca-Bassolino o Salerno-Napoli. È l'esigenza - dice - di stare davanti alla mia gente. Come quella volta a Taranto: per evitare che ci fosse uno scontro violento tra tifosi, misi la mia persona davanti a tutti. Ed anche oggi sono davanti alla mia gente, con il cuore prima di tutto». Il professore di retorica è oggi la migliore espressione del De Luca pensiero. Quello vincente.
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