Tu sei qui: Cronaca‘Rosario merita clemenza'
Inserito da Il Mattino (admin), mercoledì 26 febbraio 2003 00:00:00
«Speravamo nella clemenza dei giudizi ed invece l'assoluzione non c'è stata». La sentenza emessa lunedì dalla Corte d'Assise d'Appello, che ha confermato la condanna di primo grado a 4 anni e 8 mesi per Rosario Avagliano, accusato di parricidio, ha scosso per una seconda volta la gente del suo quartiere. In una delle palazzine popolari di Santa Maria del Rovo c'è un piatto caldo pronto in tavola. Anche ieri Marianna De Rosa, la donna che abita nell'appartamento accanto a quello in cui viveva la famiglia Avagliano, ha aspettato Rosario per ora di pranzo. Il giovane non si è fatto vedere. Non ha affatto intenzione di rompere il silenzio che mantiene sulla sua tragedia, fin da quella sera del dicembre ‘98, quando fu ritrovato nel bagno di casa accanto al padre morto. Da qualche tempo Rosario, un giovane dal carattere schivo, vive da solo in un'abitazione a Rotolo. Si arrangia con lavoretti saltuari e con l'aiuto dei pochi che, spenti i riflettori della cronaca, hanno continuato a stargli vicino. Raccontano che la sua unica reazione sia stata tutta rivolta alla fidanzata: «Non voglio essere rinchiuso di nuovo. Non voglio lasciare la mia ragazza». E così, quelle stesse persone, i vicini di casa, che subito dopo l'omicidio diedero vita ad un comitato di difesa, ora lanciano un appello affinché Rosario possa ritornare ad una vita normale. «Non avevamo costituito - spiega Marianna De Rosa - un vero e proprio comitato. È più giusto dire che, in quel periodo, l'opinione della gente era divisa tra chi colpevolizzava Rosario e chi lo difendeva. Chi lo conosce, come noi, che gli siamo accanto dalla sua infanzia, lo ha considerato da subito innocente. Sulla terribile tragedia si sono pronunciati i giudici, ma siamo più che certi che non è stato un atto premeditato». E continua: «Rosario è buono come il pane, non farebbe mai male ad una mosca. Purtroppo, fin da piccolo è stato costretto a convivere con la sofferenza: il suo handicap fisico, il difficile rapporto con il padre, affetto da problemi fisici ed una forte dipendenza da alcol». Le fa eco Vincenzo De Bartolomeis, anche lui vicino di casa: «Forse è stato un gesto disperato. Uno spintone di troppo. Noi sentivamo spesso il padre, in preda ai fumi dell'alcol, litigare con Rosario. Conoscevamo la sua difficile situazione e non potevamo che difenderlo». Oggi, a cinque anni di distanza e con una nuova sentenza di condanna, si spera ancora nella clemenza. «Come madre, spero che Rosario possa avere al più presto una vita normale», si augura Marianna De Rosa.
LA VICENDA GIUDIZIARIA
Il 21 dicembre del 1998 Rosario Avagliano viene accusato di parricidio. Il giovane racconta prima ai fratelli, poi ai Carabinieri, di aver ucciso nel bagno di casa il padre, che continuava a chiamarlo con il soprannome di "sturpiato". Le perizie psichiatriche disposte dal magistrato confermano lo stato di infermità del ragazzo al momento dell'omicidio. Il 24 giugno arriva la sentenza di primo grado: il giudice decide per una pena riduttiva a 4 anni e 8 mesi di carcere. Dopo 5 anni, in appello viene confermata la condanna.
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