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Cronaca

"Pace negli stadi per onorare mio figlio"

Inserito da (admin), giovedì 20 aprile 2006 00:00:00

È un uomo prostrato, Giuseppe Mari. Il Carabiniere di ferro, l'investigatore intelligente ed intuitivo, è un uomo disarmato di fronte al dolore di quella tragedia assurda e crudele, che in una notte gli ha strappato il figlio Catello, "roccia" della difesa della Cavese che ha conquistato la serie C1. Oggi l'intera città ricorderà ancora una volta il giovane eroe biancoblù. Una messa solenne officiata dall'Arcivescovo Orazio Soricelli, mentre i commercianti, abbassando le saracinesche, condivideranno il dolore collettivo che ha stretto Cava, catapultandola in quell'alba tragica di Pasqua dalla gioia del trionfo sul campo di calcio allo smarrimento per la perdita di un ragazzo, di un eroe del pallone.

Ha le parole appesantite dal dolore e spezzate dal pianto, il maggiore dei Carabinieri Giuseppe Mari. Osserva l'onda di emozione, di cordoglio, di solidarietà che ha travolto la sua famiglia: «Quanto affetto, quanta amicizia, quanto calore umano ha saputo suscitare intorno a sé mio figlio. La morte, questa maledetta tragedia, mi ha fatto scoprire che figlio meraviglioso, straordinario avevo. Un campione di bontà, di generosità umana, un trascinatore della gente al bene, alla vita, alla giovialità». Catello ha impresso un segno profondo nell'animo di tanti. Lo testimoniano quelle centinaia e centinaia di telegrammi, di lettere, di telefonate che hanno raggiunto, nell'ora della tragedia, la sua famiglia.

«Vorrei ringraziarle tutti - dice papà Mari - ad una ad una, quelle persone che ci sono state vicine. Gente comune e mondo delle tifoserie di Cava, di Castellammare, di Nocera e di tante altre città italiane. Li abbraccio tutti, la mia famiglia li abbraccia tutti e tutti ringrazio dal profondo del mio cuore, chiedendo di non dimenticarlo quel ragazzo straordinario, di custodire il ricordo della sua voglia di vivere, della sua bontà, della sua generosità». Un campione, sul terreno di gioco, Catello Mari aveva dimostrato di esserlo davvero. «Mi diceva - ricorda papà Mari - delle sue aspettative professionali, mi rivelava dell'interessamento che importanti società sportive avevano manifestato nei suoi confronti. E' l'anno giusto, la mia carriera sta per svoltare, mi diceva».

Il cinico destino si è messo di traverso su quella strada rivolta al futuro. Ma l'esistenza di un uomo non è un segno impresso sulla terra che il tempo cancella. È un seme, una radice piccola, che può diventare grande e robusta. «In questi giorni di tragedia - racconta papà Mari - ho visto tanta gente stringersi nel dolore, ho visto la pacificazione tra quelle tifoserie che si rendono troppo frequentemente protagoniste di episodi di violenza e di intolleranza. Si sono strette la mano. È un bel gesto, che spero generi qualcosa di positivo. Catello odiava la violenza, lui stesso aveva invitato i tifosi delle squadre dove ha giocato a ripudiare la violenza. È bello se nel suo ricordo i nostri stadi tornino ad essere solo il luogo di una sfida pulita, corretta, pacifica. Come li immaginava Catello».

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