Tu sei qui: CronacaLa profonda crisi dell'informazione
Inserito da Lello Pisapia (admin), mercoledì 2 aprile 2003 00:00:00
Senz'anima e senz'identità, tutti uguali ed omologati: così sono oggi gran parte dei giornali, a livello nazionale e, ancor più, in ambito locale. Una condanna senz'appello, firmata Andrea Manzi, docente di "Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico" presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Salerno e relatore principe del convegno "I giornali nel tempo di Internet: prospettive, limiti e ritardi dell'informazione locale. Il caso Campania, l'anomalia Salerno", svoltosi lunedì scorso presso il Club Universitario Cavese.
Un'esposizione circostanziata e competente, un'analisi lucida ed obiettiva: non ha di certo deluso o annoiato l'intervento del prof. Manzi. Dopo un interessante excursus nella storia del giornalismo, il docente universitario, nonché apprezzato giornalista, si è soffermato sulla situazione in Campania. A dir poco critica, se non imbarazzante. Nella nostra Regione legge solo il 2,8% degli abitanti: indici da "terzo mondo". Non va meglio nel Salernitano, dove il mercato dei lettori ha fatto registrare negli anni una notevole flessione.
E' un momento difficile e delicato per l'informazione, comunque, anche a livello nazionale. Diversi i fattori di tale regressione, cui non ha posto un freno neanche il prepotente avvento di Internet. Una rivoluzione che avrebbe potuto (e dovuto) consentire di percorrere strade nuove, volte alla creazione di un servizio interattivo, vicino alle esigenze della gente, che guardasse alle altre esperienze ed alle altre professioni. In definitiva, all'altro da sé. Ed invece, se di rivoluzione si può parlare, si è trattato di una rivoluzione tecnica, ma non di cervelli. Oggi i giornali si realizzano senza pensare, con la logica del "post pensiero" e della direzione. Non c'è la possibilità di modulare l'ideazione del giornale con le esigenze di sviluppare un argomento. C'è soltanto la capacità tecnologica, più che tecnica, di mettere parole in gabbie grafiche, senza controllo critico. Il lettore se ne accorge ed abbandona questa produzione, che non tenta di dare un senso alla vita reale. Molti giornali, così, diventano asfittici, acefali, senza senso, limitandosi ad elaborare comunicati e veline. Cercasi disperatamente un'anima in questi insulsi agglomerati di carta, in cui si consuma una stanchissima esistenza. Non è nato un antagonismo sociale. O almeno, se c'è stato, tanti giornali non lo hanno colto. Tutti oppressi da un forte controllo economico (laddove un tempo era politico), che spinge spesso gli editori a scendere in campo solo per una sfida sugli introiti pubblicitari. Ed ecco che i giornali vengono vissuti soltanto come lo spazio asettico in cui si ospita l'inserzione pubblicitaria. Così, non c'è neanche quella determinazione attraverso cui l'evento evolve nella notizia e contatta la folla, diventa inchiesta, intervista. Non può certo bastare una pur apprezzabile riforma grafica, primo strumento d'azione dei direttori o dei capiredattori quando non pensano o non sono in grado di pensare. Non è così strano, quindi, che nessuno abbia creato un giornale innovativo o che il giornale "popolare" sia nato praticamente dappertutto, tranne che in Italia.
Ed i giornali locali riflettono appieno i vizi ed i limiti di quelli nazionali: tutti omologati, tutti uguali. Vengono realizzati con 7-8 persone. In passato, il rapporto tra giornalisti e pagine di giornale era decoroso, in linea con l'Europa: 1 pagina lavorata da 4 redattori. Oggi, 4 pagine, spesso, sono curate da un solo redattore. Le pagine non vengono pensate, né possono essere compilate, disegnate. Anche i giornali locali, quindi, operano in una situazione di scarsa cultura e di blocco sociale ed ideativo. Nel Sud, poi, tutto si sviluppa con notevole ritardo, rendendo la situazione ancora più complicata. Basti pensare che, a tutt'oggi, solo il 18% dei cittadini della Campania dialoga con Internet. Si registra, è vero, un pullulare di iniziative (si è passati in un decennio da 3 a 19 quotidiani campani), che tendono, però, ad affermare una presenza non professionale e, probabilmente, neanche politica. Forse, è soltanto un'ambizione, una voglia di esserci, di esistere per una contribuzione pubblica.
Senza considerare un'altra situazione incresciosa: quella dell'illusione professionale permanente. A fronte di tanti professionisti con certificazioni di comodo, in un mercato del "tesserino" davvero vergognoso, moltissimi sono i giovani, praticanti e non, costretti a fare da cavie di questo lavoro nero mascherato. Il giornalista non si paga. Gli si certifica l'avvenuta pratica professionale, che in realtà, però, non è mai avvenuta, perché non c'è mai stata un'assunzione. Così, nella provincia di Salerno, troppi professionisti non hanno mai lavorato se non attraverso la sottoutilizzazione, il lavoro nero, il volontariato. Tutto, insomma, fuorché la vera professione. L'unica nota positiva? La vastissima area potenziale (oltre il 97% in Campania) di lettori da sfruttare. C'è ancora margine, quindi, per fare i giornali e per recuperare il terreno perso. Soltanto, però, un atteggiamento vivo, critico, energico, antagonista, può creare le premesse per un'impresa che, al Sud ed in Campania in particolare, si prospetta titanica.
Questi i passaggi fondamentali dell'illuminante relazione del prof. Andrea Manzi nel corso dell'interessante convegno al Cuc, aperto dall'intervento del prof. Armando Lamberti, docente di "Istituzioni di Diritto Pubblico" presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Salerno. Da segnalare, in conclusione, anche i contributi del consigliere regionale Pasquale D'Acunzi, che ha presagito l'avvento di giornali sempre più "specializzati", e di Claudio Gubitosi, presidente del "Giffoni Film Festival", che ha invitato l'Università a "scendere in piazza" ed a dare il proprio apporto in un settore che vive da troppo tempo una seria crisi d'identità.
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